ERNESTO MORALES. POSSIBLE PLACES

11 Ernesto Morales. Gli spazi del possibile e dipinge le architetture come avrebbe potuto farlo Mario Sironi, riducendole a pure forme e caricando gli archi bui di atmosfere metafisiche Lo spazio dell’opera, dunque, diventa un percorso in cui il tempo si stratifica, così come l’acqua e le architetture sembrano condensarsi in gradoni di materia nella zona sinistra del dipinto: il I secolo avanti Cristo, la sensibilità dei pittori del primo Novecento, la visione semplificata del minimalismo contemporaneo si fondono in un lavoro che ci parla per suggestioni, mentre le architetture, l’acqua e il cielo, costituiti della medesima materia soffice e lattiginosa, lentamente emergono da una nebbia di memorie personali e ancestrali, e come unico appiglio per ancorarci alla realtà ci restano solo quelle sottili linee blu, appena percettibili allo sguardo, quasi miraggi Ancora più chiara appare l’indagine dell’artista sulla circolarità del tempo se si guardano una accanto all’altra Isola Tiberina e Stazione Termini In questo dittico del 2009 solo il titolo e una lettura minuziosa del dipinto ci orientano nel tempo reale, perché la pittura rarefatta, le forme che sembrano confluire una nell’altra, la scansione degli spazi attraverso linee di forza definite con un colore a contrasto sono esattamente gli stessi dell’ Isola Tiberina Raccontata con pochi decisivi colpi di pennello, in queste due opere Roma si rivela nella sua vera natura di “città eterna”, non tanto e non solo nell’accezione più comune di eternità, vale a dire come di qualcosa che non finirà mai, ma nel senso più spirituale del termine: cioè di qualcosa che esiste oltre il tempo e fuori dal suo normale flusso Anche i ponti di Ernesto Morales tendono a trasportarci verso un oltre È un oltre fisico, al quale ci conducono le prospettive infinite che sembrano proseguire al di là degli spazi del dipinto, ma è anche un oltre metafisico, un’idea del viaggio, della distanza, dell’allontanamento, della migrazione, dell’esilio dalla quale non può prescindere un artista che, nato in Uruguay e cresciuto in Argentina, ha poi condotto la sua esistenza spostandosi e scoprendo mondi costantemente, stabilendosi a vivere in Europa, prima a Parigi e poi a Roma, per approdare infine a Torino Limitandosi a poche gamme di grigi, scandendo gli spazi in campiture ampie e ariose, costruendo le forme in modo da suggerirci una lettura, ma sempre potentemente sedotto da un’irrefrenabile tentazione astratta, Morales dissemina i suoi Invisible bridges di indizi che potrebbero farceli identificare Le costruzioni che vi leggiamo, tuttavia, appaiono soprattutto come condensazioni di materia, ombre forse un po’ più dense ma anch’esse attraversabili, scampoli di ricordi ricostruiti dalla nostra mente a creare un luogo che forse esiste ma forse no, perché la memoria è un’illusione suadente come la voce di una sirena, toglie e aggiunge assecondando i capricci del nostro subconscio, agisce secondo meccaniche non tanto dissimili da quelle del sogno

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